martedì 26 dicembre 2017

Contratto collettivo per gli statali poco innovativo (prima parte)


Nove anni dopo il lungo congelamento della contrattazione collettiva il suo riavvio appare tutt’altro che innovativo e capace di segnare un nuovo tracciato per la pubblica amministrazione.

Anche i tweet ed i comunicati entusiastici sulla sottoscrizione della preintesa appaiono eccessivi. La maggior parte di essi sono rivolti ad evidenziare il “risultato” raggiunto, appunto dopo quasi un decennio. Ma, ci sarebbe da ricordare:
1)                 che il Governo difficilmente può intestarsi questo “risultato”, poiché dei 9 (non 10) anni trascorsi senza contratto, 4 sono direttamente (l’ultimo) e indirettamente (i famosi 1000 giorni) esattamente alla compagine governativa formatasi a febbraio 2014 e quasi integralmente riconfermata l’indomani dello scossone dato dall’esito del referendum del 4 dicembre 2016;
2)                 che in realtà la stipulazione della preintesa giunge ad oltre due anni e mezzo dalla sentenza della Corte costituzionale 178/2015, secondo la quale il congelamento della contrattazione si è rivelato incostituzionale, sia pure non con portata retroattiva.
Dunque, il Governo altro non ha fatto se non adempiere, con ritardo, alle imposizioni della Consulta. Un ritardo di circa 3 anni dovuto alle difficoltà estreme di reperire le risorse necessarie. Che, ricordiamo, ammontano a 2,8 miliardi, che però sono stati finanziati solo per i comparti delle funzioni centrali. Mancano all’appello altri 2,5 miliardi circa, necessari perché si stipulino anche i contratti di regioni ed enti locali, nonché del servizio sanitario nazionale: dovranno essere questi enti a finanziare la gran parte delle risorse con i propri bilanci e l’impresa, certamente possibile, non è affatto semplice. Si è ancora a metà di un guado che, comunque, sarà sicuramente percorso per intero tra breve.
Sul piano economico, il contratto non recupera i 9 anni di congelamento, perché avrà effetti solo a partire dal 2016 e solo per il 2018 consente il famoso incremento medio di 85 euro.
Sul piano giuridico ed ordinamentale, l’intesa si rivela estremamente timida e priva di particolari slanci di fantasia e di semplificazione per l’evidente causa della fretta che ha condizionato le parti (sia quella pubblica, sia le organizzazioni sindacali) a sottoscrivere la preintesa, in modo che entro marzo giungessero nelle buste paga almeno gli arretrati: sottoscrivere contratti collettivi, che riguardano circa 3,2 milioni di persone (e loro famiglie ed entourage), nei pressi delle elezioni, senza nemmeno provare a ricavare un “dividendo” elettorale, era impensabile.
Il risultato, quindi, è da caratterizzare con l’abusata metafora “a luci ed ombre”, ma sicuramente lo slancio riformatore è poco percepibile. Analizziamo, dunque, di seguito alcuni degli aspetti di maggiore rilievo, quelli che avrebbero appunto dovuto aprire la strada ad una innovazione che, nei fatti, si dimostra ben meno profonda di quanto non aveva indicato la riforma Madia, che della nuova stagione contrattuale rappresenta la premessa.
Relazioni sindacali. La preintesa del 23 dicembre relativa al comparto delle funzioni centrali sarà certamente il modello trasversale del ridisegno delle relazioni sindacali, stravolte dalla riforma Brunetta del 2009, senza che mai, però, fosse intervenuta una nuova loro regolamentazione.
Sul piano strettamente tecnico, a parte qualche novità semantica, il nuovo sistema delle relazioni sindacali è piuttosto simile a quello antecedente la riforma Brunetta.
Si distinguono due essenziali tipologie di relazioni:
a)      la partecipazione, a sua volta disaggregata in:
1)      informazione
2)      confronto
3)      organismi paritetici di partecipazione;
b)      la contrattazione integrativa.
Informazione. L’informazione, dispone il contratto, “consiste nella trasmissione di dati ed elementi conoscitivi, da parte dell’amministrazione, ai soggetti sindacali, al fine di consentire loro di prendere conoscenza della questione trattata e di esaminarla”. I dati da trasmettere debbono essere completi e coerenti, perché finalizzati a consentire alle parti sindacali di effettuare “una valutazione approfondita del potenziale impatto delle misure da adottare ed esprimere osservazioni e proposte”.
L’informazione riguarda tutte le materie per le quali il contratto preveda le relazioni del confronto o della contrattazione integrativa e costituisce il presupposto per la loro attivazione. Il che vuol dire che la mancata informazione costituisce lesione dei diritti sindacali e vizio alle procedure, passibile di comportamento antisindacale.
Confronto. Il confronto null’altro è se non una definizione nuova di un istituto ben noto e conosciuto, cioè la “concertazione”. E’, evidentemente, parso opportuno modificare il termine semantico, che dà meno la sensazione di “cogestione”, ma la sostanza è esattamente la stessa.
Con il confronto “si instaura un dialogo approfondito sulle materie rimesse a tale livello di relazione, al fine di consentire ai soggetti sindacali di cui all’art. 7, comma3, di esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttivamente alla definizione delle misure che l'amministrazione intende adottare”.
Il confronto si può aprire con due modalità:
a)                  trasmissione dell’informazione sulle materie[1] oggetto di confronto e richiesta che le organizzazioni sindacali debbono presentare entro i successivi 5 giorni;
b)                 apertura del confronto proposta d’ufficio dalla parte pubblica, nella stessa trasmissioni dell’informazione.
Come avveniva per la concertazione, il confronto non può durare oltre 30 giorni e al termine è redatta una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse. Dunque, si conferma che se la relazione non è la contrattazione, le parti non debbono esprimere alcun consenso su un atto contenente clausole ed obbligazioni reciproche: basterà una relazione finale (o anche un verbale) che esponga in modo sintetico le posizioni espresse da ciascuna delle parti sulle materie trattate.
Organismo paritetico per l’innovazione. Elemento di novità, del quale sarà tutta da verificare l’utilità visti i rischi di commistione e confusione operativa insiti, è l’obbligo di istituire l’organismo paritetico per l’innovazione[2]. Un soggetto che potrebbe interessarsi di tutto o anche di nulla, a seconda di come possa essere interpretato il rapporto tra le parti: se realmente negoziale e, dunque, necessariamente alternativo, o se “partecipativo” e aperto alla co-gestione.
Le finalità indicate dal Ccnl appaiono sufficientemente generiche: “realizza una modalità relazionale finalizzata al coinvolgimento partecipativo delle organizzazioni sindacali di cui all’art. all’art 7, comma 3 su tutto ciò che abbia una dimensione progettuale, complessa e sperimentale, di carattere organizzativo dell’amministrazione”. L’organismo, inoltre, ha il compito di attivare “stabilmente relazioni aperte e collaborative su progetti di organizzazione e innovazione, miglioramento dei servizi, promozione della legalità, della qualità del lavoro e del benessere organizzativo - anche con riferimento alle politiche formative, al lavoro agile ed alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alle misure di prevenzione dello stress lavoro-correlato e di fenomeni di burn-out - al fine di formulare proposte all'amministrazione o alle parti negoziali della contrattazione integrativa”.
Insomma, abbastanza di tutto, ivi comprese anche materie come la promozione della legalità che, stando alla disciplina attuativa della legge 190/2012, ben poco pare possa avere a che vedere con le relazioni sindacali.
Come si nota, il comitato potenzialmente potrebbe essere la sede per l’elaborazione di vere e proprie piattaforme contrattuali condivise. Se ben utilizzato, dunque, il comitato potrebbe essere funzionale all’attivazione della contrattazione in tempi finalmente celeri ed utili, per evitare i frequentissimi stalli delle trattative o l’altrettanto (incredibilmente) frequente totale assenza di contratti per anni e anni a livello decentrato.
L’organismo sarà destinatario di informazioni per specifiche materie:
-       i dati sui contratti a tempo determinato,
-       i dati suicontratti di somministrazione a tempo determinato,
-       i dati sulle assenze di personale.
Contrattazione integrativa. La preintesa torna a definire le materie[3] della contrattazione integrativa con un elenco chiaro ed esaustivo, eliminando, così, i margini di incertezza che perduravano dal 2009.
Come si nota, ancora una volta la contrattazione collettiva nazionale ribadisce che il consenso tra le parti, per il grosso delle materie da trattare, non riguarda la definizione specifica del “quantum”, bensì la concordia sui “criteri” in base ai quali, poi, le quantità vengono determinate.
Quindi, non si negozia sull’ammontare delle risorse disponibili da ripartire, bensì sui criteri da rispettare per ripartirle; non si negozia sui premi da attribuire, ma sui criteri per ripartirli; e così via.
Particolarmente rilevanti appaiono le seguenti materie:
-        le misure di salute e sicurezza del lavoro: la contrattazione obbliga le amministrazioni a coinvolgere pienamente le organizzazioni sindacali ed a contrarre obbligazioni operative, che spesso saranno connesse a risorse da reperire sul bilancio, necessarie per attuare le misure contrattate;
-        la possibilità di elevare la percentuale massima dei contratti di lavoro a tempo determinato e di somministrazione di lavoro a tempo determinato, fissata in generale nel 20% del totale dei dipendenti a tempo indeterminato.
Non particolarmente utile, invece, sembra lasciare alla contrattazione decentrata i criteri per determinare la misura di indennità legate a rischio o disagio, perché si ripropone il problema dell’assenza di una specifica indicazione degli ammontari, nel passato causa di interpretazioni non concordanti tra singole amministrazioni e servizi ispettivi, con l’esplodere di contenziosi molto diffusi.
Tempi e procedure della contrattazione. La preintesa, per questo aspetto, ha l’indubbio merito di chiarire meglio la tempistica e le conseguenze connesse.
Nella nota 3 abbiamo distinto tra le materie soggette ad obbligo a stipulare e materie soggette ad obbligo di contrattare. Mentre le prime (quelle che incidono in modo più rilevante sul trattamento economico) impongono alle parti di stipulare un contratto, le seconde, invece, richiedono di adempiere all’obbligo di intavolare le trattative, senza che ne debba discendere necessariamente un’intesa da stipulare.
Infatti, con riferimento alle materie soggette ad obbligo a contrattare “qualora, decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative, eventualmente prorogabili fino ad un massimo di ulteriori trenta giorni, non si sia raggiunto l’accordo, le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione, sulle materie di cui all’art. 7, comma6, lettere i), k), l), m), n), o), p), q), r), s), t), u), v)”.
Occorre ricordare che questa previsione, contenuta nell’articolo 8 dell’ipotesi di Ccnl, si collega con l’articolo 9, in materia di clausole di raffreddamento. Tale ultima norma prevede tre precetti:
a)      il sistema delle relazioni sindacali è improntato a principi di:
a.       responsabilità,
b.      correttezza,
c.       buona fede
d.      trasparenza dei comportamenti
e.       ed è orientato alla prevenzione dei conflitti;
b)      nel rispetto dei suddetti principi, entro il primo mese del negoziato relativo alla contrattazione integrativa le parti non assumono iniziative unilaterali né procedono ad azioni dirette; compiono, inoltre, ogni ragionevole sforzo per raggiungere l’accordo nelle materie demandate;
c)      durante il periodo in cui si svolge il confronto le parti non assumono iniziative unilaterali sulle materie oggetto dello stesso.
Dunque, nei primi trenta giorni il deve prevalere il fai play e l’intento di pervenire comunque ad un accordo che, comunque, per le materie soggette al solo obbligo a contrattare può anche venire a mancare, sicchè, sempre nel rispetto dei principi enunciati sopra, la parte datoriale ha la possibilità di procedere anche in assenza di un accordo.
Invece, per le materie soggette ad obbligo a stipulare, occorre sempre necessariamente concludere la negoziazione con un atto che regoli i criteri per distribuire le risorse del fondo. Questo atto è auspicabile che sia sempre un contratto, sottoscritto da entrambe le parti e, dunque, condiviso.
Tuttavia, per la prima volta la contrattazione collettiva introduce nella procedura per la contrattazione due principi prima solo evidenziabili ma non espressamente desumibili:
1)      la durata contenuta della sessione;
2)      la possibilità di rimediare alla mancata concordia delle parti con un atto unilaterale datoriale, in presenza di pregiudizi che possano derivare dal mancato accordo.
E’ l’articolo 8 comma 5 della preintesa a delineare questa parziale innovazione, che recepisce i contenuti dell’articolo 40, comma 3-ter[4], del d.lgs 165/2001, come modificato dal d.lgs 75/2017.
Ecco il testo dell’articolo 8, comma 5, della preintesa: “Qualora non si raggiunga l'accordo sulle materiedi cui all’art. 7, comma 6, lettere a), b), c), d), e) f), g) h), j) ed il protrarsi delle trattative determini un oggettivo pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa, nel rispetto dei principi di comportamento di cui all’art. 9, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo. Il termine minimo di durata delle sessioni negoziali di cui all’art. 40, comma 3-ter del d. lgs. n. 165/2001 è fissato in 45 giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori 45”.
Partiamo dalla fine. L’articolo 40, comma 3-ter, precisa che “I contratti collettivi nazionali possono individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l'amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo”.
Con la preintesa, si è attuata la facoltà concessa dalla legge che consiste appunto nell’individuazione di un termine minimo di durata della sessione negoziale, che è di 45 giorni; le parti possono decidere di prorogarlo di altri 45 giorni.
Si deve comprendere se il termine “minimo” di 45 giorni sia da considerare “massimo” se ad esso di somma l’ulteriore proroga di 45 giorni, sì da considerare che le sessioni negoziali debbono concludersi entro 90 giorni; oppure se il termine minimo di 45 non possa essere comunque modificato in sede di intesa tra le parti e, ad esempio, portato a 60 giorni, più gli altri 45 di proroga consentiti dal contratto nazionale. Sulla questione si aprirà sicuramente un’accesa disputa, vista la posta in gioco molto alta.
I sindacati hanno ovviamente tutto l’interesse a proporre un’interpretazione estensiva. Oggettivamente, anche se la formulazione dell’articolo 8, comma 5, non appare precisissima, sembra che l’intento delle parti, attutivo della norma di legge espressamente richiamata, sia quello di definire un termine massimo di 90 giorni: sufficientemente lungo per una contrattazione approfondita sui criteri relative alle materie soggette ad obbligo a stipulare, ma anche necessariamente breve per evitare le conseguenze pregiudizievoli alla funzionalità dell’azione amministrativa di cui parlano sia l’articolo 40, comma 3-ter, del d.lgs 165/2001, sia la stessa preintesa, quali presupposto per l’adozione da parte della parte datoriale di un atto unilaterale provvisoriamente suppletivo alla mancata intesa.
Il fatto stesso del prolungarsi della sessione negoziale oltre il termine minimo di durata (90 giorni compresa la proroga) è di per se stesso causa di pregiudizio per la funzionalità dell’azione amministrativa. Infatti, andare oltre una ragionevole durata delle trattative (che significa, laddove le si avviino come appare corretto e necessario, nei primi giorni del mese di gennaio di ogni anno, concludere entro aprile), comporta il pericolo di non giungere alla stipulazione. Il che significa non solo problemi di ordine contabile, ma soprattutto impedire l’attivazione nella prima parte dell’anno dei progetti finalizzati alla realizzazione dei risultati posti alla base dell’erogazione dei premi. Avviare, infatti, i progetti, sulla base del loro finanziamento, a fine anno o anche ben oltre la primavera non appare congruo; del resto, questi ritardi sono sempre stati oggetto degli strali dei servizi ispettivi.
Quindi, la preintesa per la prima volta fissa una durata delle sessioni negoziali, superata la quale la parte datoriale può in ogni caso provvedere unilateralmente, per la semplice scadenza del termine minimo previsto.
L’attuazione delle indicazioni dell’articolo 40, comma 3-ter, consente allora di indicare un procedimento “ideale” per la contrattazione:
1)                 costituzione della delegazione trattante di parte pubblica (con un provvedimento che è opportuno abbia valenza pluriennale);
2)                 costituzione del fondo delle risorse decentrate, operazione possibile e doverosa nei primi giorni di gennaio, come specificazione delle previsioni dello stanziamento già presente sul pluriennale, aggiornato alle previsioni sulle possibili cessazioni e assunzioni dell’anno di competenza; la costituzione del fondo può anche essere provvisoria, in assenza di bilancio approvato, per consentire l’attivazione della contrattazione sui “criteri” e giungere ad una preintesa che quanto meno sia utile per avviare con buona definizione la gestione per progetti, evidenziano possibili premi economici, che magari saranno precisati meglio successivamente, con l’approvazione del bilancio e la definizione più chiara delle conseguenze economiche. C’è da dire che negoziando esclusivamente per criteri, l’approvazione del bilancio e l’indicazione precisa delle risorse può comunque risultare indifferente;
3)                 avvio della contrattazione, possibilmente sempre entro gennaio;
4)                 svolgimento delle trattative: entro 45 giorni, con l’eventuale proroga di altri 45;
5)                 conclusione delle trattative:
a.       con la sottoscrizione del contratto, se vi è l’intesa tra le parti;
b.      con l’adozione dell’atto unilaterale, qualora il mancato accordo porti ad un protrarsi delle trattative oltre il termine dei 90 giorni, compresa proroga, che di per sé comporta il potere datoriale di intervenire unilateralmente;
6)                 invio all’organo di revisione dell’ipotesi di contratto entro 10 giorni dalla sottoscrizione o dall’adozione dell’atto unilaterale;
7)                 effettuazione dei controlli da parte dell’organo di revisione che può:
a.       esprimersi esplicitamente entro il termine di 15 giorni, approvando il contenuto dei documenti esaminati;
b.      lasciar decorrere il termine di 15 giorni, sicchè si forma il loro silenzio-assenso;
c.       formulare entro il termine di 15 giorni rilievi;
8)                 nel caso in cui l’organo di revisione formuli rilievi, la trattativa deve essere ripresa entro i successivi 5 giorni;
9)                 nel caso in cui l’organo approvi espressamente o comunque non formuli rilievi, l’organo di governo autorizza il presidente della delegazione trattante a stipulare il contratto o ad adottare in via definitiva l’atto unilaterale.
Non si può fare a meno di rilevare che la preintesa mostra una pericolosa carenza: non è definito entro quanto tempo debbono concludersi le trattative, qualora sia necessario riprenderle in conseguenza di rilievi formulati dall’organo di revisione. E’ evidente che se si è ancora entro il termine dei 90 giorni, la durata (al netto delle fasi di controllo) non dovrebbe andare oltre il termine complessivo dei 90 giorni; se si è, invece, già oltre, si è nella zona che consente in modo sostanzialmente automatico di adottare l’atto unilaterale, qualora le trattative riaperte in conseguenza dei rilievi dell’organo di revisione si caratterizzino per il mancato consenso tra le parti e la inconciliabilità delle posizioni.
Bisogna ricordare che laddove l’amministrazione ricorra all’atto unilaterale:
1)                 esso è provvisorio; non può sostituire mai, quindi, definitivamente il contratto: l’obbligo a stipulare permane;
2)                 vanno rispettati i principi di correttezza e buona fede: non potrebbero essere inseriti nell’atto, ad esempio, contenuti mai oggetto di informazione o negoziazione;
3)                 deve contenere l’esplicitazione del pregiudizio che lo rende necessario o, comunque, l’evidenziazione del superamento dei termini della sessione;
4)                 deve comunque proseguire nelle trattative e continuare a convocare la parte sindacale per giungere a sostituire l’atto unilaterale col contratto.
Durata dei contratti e loro ultrattività. Da sempre i contratti collettivi nazionali di lavoro contengono la clausola della cosiddetta ultrattività dei contratti collettivi decentrati, ripresa pedissequamente anche dall’articolo 8, comma 7, della preintesa: “I contratti collettivi integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione. Essi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione, presso ciascuna amministrazione, dei successivi contratti collettivi integrativi”.
Incredibilmente, tuttavia, sia i servizi ispettivi, sia la Corte dei conti hanno di fatto negato effettività al principio di ultrattività dei contratti decentrati, pretendendo che di anno in anno si desse corso alla contrattazione decentrata di parte economica e considerando produttiva di danno l’assenza dei contratti. Le obiezioni sulla liceità del “riporto” dell’ultimo contratto stipulato hanno sempre prodotto solo contenziosi infiniti.
La preintesa probabilmente pone rimedio a questa clamorosa incongruenza e palese mancanza di rapporto collaborativo tra istituzioni.
Per giungere a questa conclusione, dobbiamo porre attenzione alla contrattazione nazionale ormai scaduta, destinata ad essere sostituita dalla nuova in corso di definizione. Ad esempio, l’articolo 5, comma 1, ultimo periodo, del Ccnl 1.4.1999 del comparto regioni enti locali dispone: “L’utilizzo delle risorse è determinato in sede di contrattazione decentrata integrativa con cadenza annuale”. Servizi ispettivi e magistratura contabile, con una lettura rigorosa e non tesa a coordinare questa previsione col principio di ultratttività visto prima, ritengono che sia un dovere immancabile appunto determinare ogni anno la destinazione delle risorse.
L’articolo 8, comma 1, della preintesa, però, ha un contenuto diverso: “Il contratto collettivo integrativo ha durata triennale e si riferisce a tutte le materie di cui all’art. 7, commi 6 e 7. I criteri di ripartizione delle risorse tra le diverse modalità di utilizzo di cui all’art. 7, comma 6, possono essere negoziati con cadenza annuale”.
Sembra evidente che alla possibilità di considerare la negoziazione annuale come un dovere, propria della scaduta tornata contrattuale nazionale, si sostituisca una mera facoltà di negoziazione con cadenza annuale.
Il testo dell’articolo 8, comma 1, della preintesa non pare lasci dubbi. Il coordinamento tra principio di ultrattività e dovere di negoziazione è totale: poiché i contratti hanno durata triennale, spetta alle amministrazioni scegliere se definire i criteri di ripartizione delle risorse in modo che valgano un triennio oppure annualmente; nel primo caso, non si porrà mai più il problema dell’assenza di una negoziazione annuale di riparto delle risorse. Ma, anche laddove le parti non stipulino criteri espressamente di portata triennale, la facoltà e non l’obbligo di negoziare annualmente la ripartizione delle risorse, consente senza alcun dubbio di considerare vigenti ed applicabili i criteri disposti l’anno prima.
Il tutto conferma che occorre svincolare il processo della contrattazione dai numeri concreti e dall’approvazione dei bilanci. Se si ragiona davvero su criteri che poi possano essere tradotti in formule per calcolare le destinazioni delle risorse, qualsiasi sia il concreto ammontare frutto della loro costituzione, è possibile stipulare sempre per tempo contratti che consentano una gestione serena ed efficiente.
(fine prima parte)


[1] a) l’articolazione delle tipologie dell’orario di lavoro;
b) i criteri generali di priorità per la mobilità tra sedi di lavoro dell'amministrazione;
c) i criteri generali dei sistemi di valutazione della performance;
d) l’individuazione dei profili professionali;
e) i criteri per il conferimento e la revoca degli incarichi di posizione organizzativa;
f) i criteri per la graduazione delle posizioni organizzative, ai fini dell’attribuzione della relativa indennità;
g) il trasferimento o il conferimento di attività ad altri soggetti, pubblici o privati, ai sensi dell’art. 31 del d. lgs. n. 165/2001.
[2] Composizione e compiti sono così indicati:
a) ha composizione paritetica ed è formato da un componente designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali di cui all’art 7, comma 3, nonché da una rappresentanza dell’Amministrazione, con rilevanza pari alla componente sindacale;
b) si riunisce almeno due volte l'anno e, comunque,ogniqualvolta l’amministrazione manifesti un’intenzione di progettualità organizzativa innovativa, complessa, per modalità e tempi di attuazione, e sperimentale;
c) può trasmettere proprie proposte progettuali, all’esito dell’analisi di fattibilità, alle parti negoziali della contrattazione integrativa, sulle materie di competenza di quest’ultima, o all’amministrazione;
d) può adottare un regolamento che ne disciplini ilfunzionamento;
e) può svolgere analisi, indagini e studi, anche in riferimento a quanto previsto dall’art.….;
f) effettua il monitoraggio dell’attuazione dei piani di azioni positive predisposte dai comitati unici di garanzia, in collaborazione con questi ultimi.
4. All’organismo di cui al presente articolo possono essere inoltrati progetti e programmi dalle organizzazioni sindacali di cui all’art. 7, comma 3 o da gruppi di lavoratori. In tali casi, l’organismo paritetico si esprime sulla loro fattibilità secondo quanto previsto al comma 3, lett. c)”.
[3]
a) i criteri di ripartizione delle risorse disponibili per la contrattazione integrativa tra le diverse modalità di utilizzo
Obbligo a stipulare
b) i criteri per l'attribuzione dei premi correlati alla performance
Obbligo a stipulare
c) criteri per la definizione delle procedure delle progressioni economiche
Obbligo a stipulare
d) i criteri per l'attribuzione delle indennità correlate all'effettivo svolgimento di attività disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute
Obbligo a stipulare
e) i criteri per l'attribuzione delle indennità correlate all'effettivo svolgimento di attività comportanti l'assunzione di specifiche responsabilità
Obbligo a stipulare
f) i criteri per l'attribuzione di trattamenti accessori per i quali specifiche leggi operino un rinvio alla contrattazione collettiva
Obbligo a stipulare
g) i criteri generali per l'attivazione di piani di welfare integrativo
Obbligo a stipulare
h) l’elevazione delle maggiorazioni orarie per la remunerazione del lavoro in turno previste dall’art. 19, comma 5
Obbligo a stipulare
i) l’elevazione dei limiti previsti dall’art. 19, comma 4, in merito ai turni effettuabili
Obbligo a contrattare
j) l’elevazione della misura dell’indennità di reperibilità prevista dall’art. 20, comma 6
Obbligo a stipulare
k) le misure concernenti la salute e sicurezza sul lavoro
Obbligo a contrattare
l) l’elevazione dei limiti previsti dall’art. 20, comma 5 per i turni di reperibilità
Obbligo a contrattare
m) l’elevazione del contingente dei rapporti di lavoro a tempo parziale ai sensi dell’art. 57, comma 7
Obbligo a contrattare
n) il limite individuale annuo delle ore che possono confluire nella banca delle ore, ai sensi dell’art. 27, comma 2
Obbligo a contrattare
o) i criteri per l’individuazione di fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita, al fine di conseguire una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare
Obbligo a contrattare
p) l’elevazione del periodo di 13 settimane di maggiore e minore concentrazione dell’orario multiperiodale, ai sensi dell’art. 22
Obbligo a contrattare
q) l’individuazione delle ragioni che permettono di elevare, fino ad ulteriori sei mesi, l’arco temporale su cui è calcolato il limite delle 48 ore settimanali medie, ai sensi dell’art. 17, comma 2
Obbligo a contrattare
r) l’elevazione della percentuale massima del ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato e di somministrazione a tempo determinato, ai sensi dell’art. 54, comma 1
Obbligo a contrattare
s) per le amministrazioni articolate territorialmente, i criteri per la ripartizione del contingente di personale di cui all’art. 46, comma 1 (diritto allo studio)
Obbligo a contrattare
t) integrazione delle situazioni personali e familiari previste dall’art. 19, comma 9, in materia di turni di lavoro
Obbligo a contrattare
u) elevazione del limite massimo individuale di lavoro straordinario ai sensi dell’art. 25, comma 3
Obbligo a contrattare
v) riflessi sulla qualità del lavoro e sulla professionalità delle innovazioni tecnologiche inerenti l’organizzazione di servizi.
Obbligo a contrattare

[4] 3-ter. Nel caso in cui non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, qualora il protrarsi delle trattative determini un pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede fra le parti, l'amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall'articolo 40-bis. I contratti collettivi nazionali possono individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l'amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo. È istituito presso l'ARAN, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio a composizione paritetica con il compito di monitorare i casi e le modalità con cui ciascuna amministrazione adotta gli atti di cui al primo periodo. L'osservatorio verifica altresì che tali atti siano adeguatamente motivati in ordine alla sussistenza del pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa. Ai componenti non spettano compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese comunque denominati.

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