domenica 14 gennaio 2018

Corruzione: per contrastarla serve sempre e solo l’iniziativa penale. Poche e spuntate le armi amministrative


I giornali in questi giorni hanno informato dell’inchiesta del programma Petrolio, che fa vedere in presa diretta due atti di concussione in ambito ospedaliero a Padova.
Si tratta della ben conosciuta tecnica del sovraffollamento delle liste d’attesa delle prestazioni pubbliche o “intramoenia”, utilissime per far effettuare gli esami e le prestazioni in ambito privato, con lauto pagamento (anche in nero) extra moenia, cioè nelle cliniche private; o per proporre il “salto” della lista d’attesa ad un costo pari a circa un terzo della prestazione a costo pieno, se fosse resa in ambito privato.

“Ma questa è concussione”! I giornali riportano questo sdegnoso commento del presidente dell’Anac, ospite della trasmissione, alla vista dell’inchiesta.
Certo, è concussione. Ed è giusto e naturale che il presidente dell’Anac, come qualsiasi altro cittadino sbotti in indignazione e riprovazione durissima per l’accaduto.
Cosa dimostra, però, l’inchiesta? Una serie di elementi che al legislatore continuano a sfuggire, rendendo la lotta alla corruzione ancora poco efficace e complicata, nonostante l’impianto normativo risalente alla legge 190/2012.
In primo luogo, si osserva che la funzione deterrente delle norme vale per quello che vale. In altre parole, la deterrenza funziona per chi intende rispettare la legge. Chi, invece, ha la predisposizione a delinquere non si fa certo impressionare se invece di esservi una legge a reprimere e condannare la concussione, ve ne sono due, dieci o cento. Ovvio che le leggi debbono esservi, ma pensare che da sole bastino è velleitario.
In secondo luogo, non funziona l’insistenza sulla “cultura della legalità”, sulla quale battono molto specie Anac e normativa anticorruzione. Giusto, certo, puntare anche sulla cultura. Ma questa ancora una volta può avere effetti di prevenzione della corruzione su chi questa cultura la condivida. Chi vuole delinquere, può assistere a qualsiasi seminario relativo all’etica e continuare ad infischiarsene a maggior ragione.
In terzo luogo, l’impalcatura della prevenzione amministrativa alla corruzione, quella disciplinata dalla legge 190/2012 e coordinata dall’Anac ha armi troppo spuntate. La legge 190/2012, il codice etico (dpr 62/2013), il Piano Nazionale Anticorruzione, il piano triennale di prevenzione della corruzione che certamente avrà adottato la struttura sanitaria a Padova, non hanno avuto la benché minima capacità di impedire gli atti di concussione comprovati dal programma Petrolio.
Anzi, l’insieme delle norme discendenti dalla legge 190/2012 creano un labirinto di adempimenti, il cui risultato si dimostra essere poco utile. Il già ricordato piano triennale di prevenzione della corruzione richiede, a dire dell’Anac, un’approfondita “analisi di contesto”, sottoposto all’esegesi dell’autorità, che laddove la ritenga poco esaustiva, finisce per appioppare multe al responsabile della prevenzione della corruzione. E paradossalmente, la normativa anticorruzione di tipo amministrativo non è in grado di scalfire minimamente, con condanne o sanzioni, i due medici autori della concussione, ma può mettere in serie di difficoltà, invece, proprio il responsabile della prevenzione della corruzione. Infatti, l’articolo 1, comma 12, della legge 190/2012, dispone che qualora in un ente si accerti la commissione di reati legati alla con cessione sia il responsabile della prevenzione (che il reato non ha commesso) a rispondere per responsabilità dirigenziale (esposto, quindi, al rischio di licenziamento) e per danno erariale, se non sia lui a dimostrare (con inversione dell’onere della prova) che sia stato predisposto il piano di prevenzione con tutti i crismi (allegati, tabelle, capitoli, commi, alinea, codicilli e “analisi di contesto” compresi) e di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano.
Dunque, nel caso di specie, mentre la magistratura penale perseguirà gli autori della concussione, l’Anac, invece, dovrà perseguire non chi ha commesso i reati, ma il dirigente anticorruzione ed aprire nei suoi confronti un’indagine, eventualmente da estendere alla Corte dei conti, per verificare se sarà in grado di discolparsi per i reati commessi da altri.
Non sembra proprio che in sistema, così impostato, possa funzionare adeguatamente. Anche perché, in quarto luogo, l’inchiesta del programma Petrolio dimostra indirettamente il fondamento molto forte di chi propugna la tesi secondo la quale per combattere davvero la corruzione non occorrono le (troppe) sovrastrutture della normativa anticorruzione, che portano solo ad un’esplosione di burocrazia, segnalata ormai centinaia di volte dagli addetti ai lavori, ma senza mai ottenere riscontro. E’ più utile, invece, apprestare un apparato di “agenti provocatori”, come le giornaliste del programma, di soggetti, cioè, che possano davvero e con poteri di indagine (e tempo e risorse) verificare concretamente se e chi vìoli la corruzione.
Quel che è certo è che, nel caso di specie, l’insieme delle regole di prevenzione della corruzione a Padova non ha prodotto risultato alcuno. Se la concussione è stata scoperta è stato per l’inchiesta a mo’ di agenti provocatori e, comunque, la repressione degli autori dei reati (sempre che siano davvero considerati colpevoli in sede di giudizio) spetta alla magistratura, mentre l’impianto amministrativo e l’Anac non hanno alcuna voce in capitolo.
Un ripensamento, dunque, molto ampio sarebbe necessario. E, per quanto riguarda il problema specifico delle “liste d’attesa”, è evidente che occorre qualche innovazione radicale, non bastando la normativa anticorruzione. La concorrenza pubblico-privato nella sanità è da sempre risaputa come causa di rallentamenti e disfunzioni creati ad arti nel pubblico, per bypassarli nel privato. Inoltre, la possibilità data dalla legge ai medici di esercitare contemporaneamente ruoli pubblici e professione libera, crea esattamente quella situazione di conflitto di interessi anche solo potenziale, che invece la normativa anticorruzione vorrebbe impedire.
Per risolvere questi problemi appare evidente che non basti nessuna “analisi di contesto” per quanto approfondita: occorre rivedere dal fondo le regole dell’esercizio della libera professione e degli accreditamenti delle cliniche private. Buttiamo lì un’idea, poco meditata e magari, dunque, tecnicamente non corretta: perché non obbligare, pena la revoca degli accreditamenti e delle autorizzazioni, le cliniche private e gli studi professionali a conferire nel sistema delle prenotazioni propri “slot” liberi, così da estendere in modo trasparente le possibilità di ottenere prestazioni sanitaria a tutto il sistema pubblico-privato, sulla base di prezzi standard fissati dalle regioni? Non sarebbe un modo per eliminare le attese interminabili ed i conflitti di interesse, del tutto diverso da qualsiasi regola “anticorruzione” che poi funziona solo se l’etica individuale la condivide?

1 commento:

  1. Tanti non vedono non sentono e non parlano. Dirigenti incollati come cozze al proprio posto di enorme potere da 14 anni e altri di cui dopo due anni si chiede la rotazione anticorruzione (forse perchè non si piegano ai voleri contra legem del politico che nomina il responsabile anticorruzione o perchè si preferiscono gli incompetenti che dicono sempre si). Però carte carte carte carte.

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