lunedì 16 ottobre 2017

Il contratto di prestazione occasionale è cosa diversa dal lavoro autonomo occasionale


Il legislatore poteva fare a meno di denominare “contratto di prestazione occasionale” i cosiddetti “nuovi voucher”, introdotti con l’articolo 54-bis, del d.l. 50/2017, convertito in legge 96/2017.

Come è noto, il contratto di prestazione occasionale è stato introdotto in una sede del tutto impropria, il cosiddetto “decreto enti locali”, in fretta e furia per evitare di tenere il referendum sull’abolizione del lavoro accessorio, noto appunto come voucher.
L’istituto è stato profondamente rivisto in termini molto restrittivi, tanto è vero che sostanzialmente i nuovi voucher sono fermi al palo e le aziende private invece di utilizzare questo sistema hanno fortemente allargato l’impiego del lavoro a chiamata.
Poteva e doveva fare a meno, però, il legislatore di ingenerare l’ennesima occasione di caos e confusione che, invece, puntualmente è stata causata, denominando il nuovo istituto come contratto di prestazione occasionale: sarebbe dovuto apparire evidente che in questo modo lo si sarebbe scambiato per la “prestazione occasionale” vecchio tipo, ma, soprattutto, per il lavoro autonomo occasionale.
Una prima precisazione va fatta. Le prestazioni occasionali conosciute anche come “mini co.co.co.”, regolate dall’articolo 61, comma 2, del d.lgs 276/2003, caratterizzate dalla durata complessiva di non oltre 30 giorni l’anno e con un compenso inferiore ai 5.000 euro ricevuto dal medesimo committente, sono state abolite dall’ art. 52, comma 1, del d.lgs 81/2015.
Restano, allora, nell’ordinamento giuridico esclusivamente queste due ipotesi:
1)      contratto di lavoro occasionale, disciplinato dall’articolo 54-bis, del d.l. 50/2016;
2)      lavoro autonomo occasionale.
Il contratto di lavoro autonomo occasionale non si sovrappone per nulla al lavoro autonomo occasionale.
Molti enti si stanno ponendo il quesito se per assegnare un incarico, per esempio di consulenza o docenza, ad un dipendente di un altro ente pubblico, debbano regolare il connesso rapporto come contratto di lavoro occasionale ai sensi dell’articolo 54-bis. Bisogna rispondere in maniera chiara: assolutamente no.
Il contratto di lavoro occasionale può essere utilizzato dalle amministrazioni pubbliche, esclusivamente per esigenze temporanee o eccezionali:
a)  nell'ambito di progetti speciali rivolti a specifiche categorie di soggetti in stato di povertà, di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o che fruiscono di ammortizzatori sociali;
b)  per lo svolgimento di lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi;
c)  per attività di solidarietà, in collaborazione con altri enti pubblici o associazioni di volontariato;
d)  per l'organizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritative.
Le amministrazioni, quali utilizzatori, non possono spendere nell’anno più di 5.000 euro come tetto massimo alla somma di tutti i contratti di prestazione occasionale attivabili; ciascun lavoratore non può essere utilizzato per oltre 280 ore l’anno.
Come si nota, l’istituto, per la pubblica amministrazione, è restrittivamente mirato alle quattro tassative e straordinarie ipotesi di utilizzo; esse nulla hanno a che vedere con rapporti di consulenza, docenza o collaborazione i cui oggetti siano diversi da quelli indicati dalla legge.
Allora, resta una domanda: qual è la disciplina cui fare riferimento per l’assegnazione di consulenze o docenze o ricerche?
La risposta è semplice: resta, com’era prima, l’articolo 7, commi da 6 a 6-ter del d.lgs 165/2001.
C’è da precisare che per effetto della riforma apportata al testo del comma 6 dell’articolo 7 del d.lgs 165/2001 da parte del d.lgs 75/2017, è ormai chiaro che non è più possibile per le pubbliche amministrazioni attivare il cosiddetto (e “famigerato”) lavoro parasubordinato o parautonomo, consistente proprio nelle collaborazioni coordinate e continuative.
La riforma Madia ha cancellato dal testo dell’articolo 7, comma 6, il riferimento proprio alle collaborazioni occasionali e coordinate e continuative.
Pertanto, il sistema per attribuire gli incarichi delle tipologie previste sempre dall’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001 e nel rispetto dei rigorosi presupposti ivi stabili, è esclusivamente quello dell’attivazione di lavoro autonomo puro, nel quale il lavoratore ponga in essere una prestazione esclusivamente personale, che non si prolunghi nel tempo, in quanto il tempo vale solo per qualificare la scadenza entro la quale adempiere al contratto, e che non sia determinata nelle modalità e luogo di svolgimento dal committente.
Dunque, nel caso in cui l’incarico di consulenza, docenza, ricerca, sia rivolta ad un lavoratore autonomo abituale, si porrà in essere (a meno che non si rientri in un’ipotesi di appalto di servizi, da regolare nel rispetto del codice dei contratti) un contratto di prestazione d’opera o di prestazione d’opera intellettuale, rivolto ad una persona iscritta ad un albo professionale o ad un professionista senza albo: in questo caso, gli affidatari avranno partita Iva ed emetteranno fattura.
Laddove destinatario dell’incarico possa essere un dipendente pubblico, questi dovrà ovviamente essere autorizzato (se la prestazione lo richiede; non è necessaria alcuna autorizzazione per le docenze rivolte ad altri dipendenti pubblici) e sarà incaricato come lavoratore autonomo appunto “occasionale”, che rende le prestazioni qualificate come “redditi diversi”, dall’articolo 67, comma 1, lettera l) del dPr 917/1986 ai sensi del quale sono, appunto, redditi diversi quelli “derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
In questo caso, il lavoratore autonomo occasionale non è soggetto ad Iva per carenza del presupposto oggettivo dell’abitualità dell'attività esercitata , non deve avere partita Iva, e al posto della fattura rilascia una quietanza o nota di addebito/pagamento; sui compensi all'atto del pagamento, va effettuata la ritenuta d’acconto da parte del sostituto d'imposta ed effettuato il versamento alla Gestione separata Inps, qualora gli importi percepiti dall’esercente non abituale di lavoro autonomo la somma di 5.000 euro nel corso dell’anno solare.


1 commento:

  1. Buongiorno, sono da poco pensionato ex dipendente pubblico, mi è stata suggerita la possibilità di prestare assistenza software c/o un Ente diverso da quello in cui ho lavorato. Dato che si tratta di importi inferiori ai 5000 euro annui, questa attività potrebbe rientrare fra le collaborazioni occasionali che non richiedono partita iva?

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