venerdì 14 aprile 2017

Trasparenza dei dirigenti pubblici: l'immancabile populismo di Gianantonio Stella

Nel suo articolo sul Corriere del 14 aprile 2017 "Trovato il cavillo (e la trasparenza può attendere) La battaglia per dare meno dati sui beni: stop alla trasparenza", Gian Antonio Stella sfodera per l'ennesima volta la sua vocazione al populismo facile, per attaccare i dirigenti rei di una presunta avversione contro la trasparenza.

Occasione della filippica degna di ben altre destinazioni è la ormai celebre sospensione dell'efficacia delle linee guida per attuare l'obbligo dei dirigenti pubblici di pubblicare il proprio patrimonio on line.
Per far capire quanto sono cattivoni i dirigenti che si sono opposti all'ingerenza del legislatore, che vuole assimilare la posizione di chi nella PA svolge un'attività lavorativa e non cariche elettive, lo Stella utilizza l'argomentazione decisiva per sollevare urla e commenti, mentre si tira una stecca o si batte una scopa: "Se gli italiani avessero saputo prima (prima!) che il dirigente pubblico Angelo Balducci aveva accumulato un patrimonio immobiliare inspiegabilmente immenso avrebbero assistito senza fiatare alla sua onnipresenza là dove giravano i soldi dei grandi appalti? O avrebbero preteso di vederci chiaro? Davvero quel funzionario poi pluricondannato per corruzione e colpito dal sequestro di beni per 12 milioni (9 già confiscati), aveva diritto alla privacy anche se maneggiava soldi dei cittadini? Ecco le domande che dovrebbero farsi i dirigenti e funzionari pubblici schierati contro le nuove regole sulla trasparenza avviate nel 2012 dal governo Monti e varate col decreto Trasparenza da Marianna Madia".
La domanda posta dallo Stella presuppone che se fosse stato all'epoca vigente l'obbligo di pubblicare i patrimoni, tutti si sarebbero accorti dei patrimoni del Balducci, che sarebbe stato costretto a rivelarli.
E' la regola del rigo "proventi da corruzione" che molti giornalisti ritengono esistere nella dichiarazione dei redditi o anche nel modulo di dichiarazione patrimoniale preparato dall'Anac in vista dell'attuazione delle regole sulla pubblicità per i dirigenti.
Ovviamente, quel rigo non esiste. Ed altrettanto ovviamente un furbacchione come Balducci, anche se fosse stato in vigore l'obbligo di pubblicare redditi e patrimonio, avrebbe aggirato allegramente tali obblighi.
La prova? Leggiamo, cosa che Stella sicuramente ha fatto, facendo però finta di non saperlo nel suo messaggio populistico che si commenta, cosa scrive a proposito del patrimonio di Balducci La Stampa, nell'articolo pubblicato il 5 aprile scorso, sul portale on line del giornale, dal titolo "Confiscati beni per 9 milioni ad Angelo Balducci": "Tali illeciti proventi consentivano al protagonista della vicenda di accumulare un notevolissimo patrimonio, risultato, al termine di ulteriori complesse indagini economico-finanziarie, nettamente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati".
Chiariamo, dunque: il Balducci ha accumulato, si presume illecitamente, un notevolissimo patrimonio, per far emergere il quale SONO STATE NECESSARIE COMPLESSE INDAGINI (GIUDIZIARIE), perchè NON LO AVEVA MAI DICHIARATO.
E leggendo l'articolo si scopre come il Balducci aveva accumulato il patrimonio: "è emerso che, a fronte dell’illecita assegnazione delle commesse pubbliche, le imprese appaltatrici avevano veicolato ingenti flussi finanziari, anche attraverso società interposte, verso una società cinematografica - direttamente riconducibile al proposto - che si occupava della produzione di film il cui attore principale era il figlio di Angelo Balducci, Lorenzo. Allo stesso modo, i finanzieri hanno dimostrato che le predette imprese edili avevano finanziato l’acquisto o ristrutturazione di svariati immobili di pregio a favore del nucleo familiare dell’ex gentiluomo pontificio Balducci".
Come si nota, come avrebbe dovuto notare lo Stella e qualsiasi altra persona dotata di un livello minimo di buon senso, il Balducci ha fatto di tutto per occultare l'accumulo di ricchezze.
E' evidente, quindi, che anche laddove fosse stato vigente l'obbligo previsto dalla riforma Madia, il Balducci non avrebbe pubblicato il patrimonio accumulato, per la semplicissima ragione che era ben nascosto, tanto che sono state necessarie indagini giudiziarie estremamente complesse per scovarlo
Lo Stella finge di non sapere che i dirigenti pubblici da 20 anni almeno sono tenuti a comunicare alle amministrazioni di appartenenza sia le dichiarazioni dei propri redditi, sia anche il patrimonio posseduto. Il dato, dunque, è perfettamente conosciuto e conoscibile e le amministrazioni di appartenenza possono effettuare o chiedere qualsiasi indagine in merito. Se nessuno si è accorto del patrimonio illecito del Balducci è perchè evidentemente non lo aveva segnalato. E come non se ne sono accorti nei ministeri, non se ne sarebbero potuti accorgere nemmeno gli italiani, i quali non avrebbero mai avuto modo di sapere prima che il Balducci era proprietario di quel patrimonio.
Se la stampa ed i media smettessero di fare populismo a buon mercato ed iniziassero ad analizzare i fatti davvero per quello che sono, farebbero cosa gradita. L'obbligo previsto dalla riforma Madia di pubblicare redditi e patrimoni dei dirigenti non aveva nulla a che fare, realmente, con la trasparenza, ma era solo la certificazione dell'assimilazione, anzi della compenetrazione, della dirigenza con la politica, che si sarebbe sublimata nella riforma appunto della dirigenza, con la quale il precedente Governo intendeva marchiare a fuoco i dirigenti e farne una costola totalmente politicizzata del loro lavoro. In modo che tutto si tenesse e che le mosche bianche non fossero i Balducci, ma quelli che svolgono il loro lavoro con autonomia e senza accumulare alcuna ricchezza.

5 commenti:

  1. Gentile titolare,
    condivido la sua opinione generale, soprattutto sul fatto che bisognerebbe distinguere fra le attività lavorative e le cariche elettive, o anche sull'ingenuità di individuare i proventi illeciti di un fatto corruttivo attraverso un'autodichiarazione (pur penalmente rilevante).
    Ho seguito la vicenda dei ricorsi e dell'ordinanza cautelare del Tar, ma solo leggendo la delibera dell'ANAC con cui l’Autorità esplicitamente sollecita un intervento legislativo chiarificatore, mi sono reso conto che si contesta, oltre all'obbligo di pubblicazione dei dati relativi alle spese di viaggi di servizio (perché mai?) e di quelli relativi ai dati reddituali e patrimoniali (può essere comprensibile), anche la pubblicazione dei COMPENSI.
    A mio parere la pubblicazione dei compensi, come dei dati relativi alle spese di viaggi di servizio, anche dei dirigenti, è uno strumento molto utile dato a tutti i cittadini, per controllare, piuttosto che i fenomeni corruttivi, l’efficienza della PA e il corretto utilizzo dei soldi pubblici.
    Saluti
    GV

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  2. Giuste osservazioni, per quanto il ragionamento riguardi termini più generali. Comunque, l'obbligo di pubblicare i compensi esiste e non ha ragione di non essere adempiuto, Quello per i viaggi di servizio (per chi li fa) è magari utile, ma diventa a mio avviso un eccesso operativo. Con l'accesso civico si può egualmente chiedere di sapere quali e quanti spese di viaggi di servizio sono fatte, senza appesantire gli oneri di pubblicazione nei siti, oneri già abbastanza rilevanti.

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    1. Avendo il D.Lgs 33/2013 abrogato il comma 1 dell'art. 21 della legge 69/2009, a che titolo le P.A. pubblicano i compensi dei dirigenti?

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  3. Stella è ormai noto, tra chi ha un minimo di cultura, per i suoi commenti superficiali e demagogici. Serve interessi diversi da quelli collettivi e forse solo per questo può essere compreso, sia pure non giustificato. Se trasparenza deve essere potremmo allora rendere pubbliche tutte le dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani, e ne vedremmo delle belle.

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  4. Stella interpreta un sentire diffuso nel Paese, che nella PA l'opacità prevalga sulla trasparenza e sia origine di comportamenti (o scelte) discutibili in questo momento storico di perdurante difficoltà economiche di tantissime famiglie. E non sarà opponendo solide argomentazioni giuridiche a far cambiare (purtroppo) il pensiero che il dipendente pubblico sia titolare di privilegi talvolta immeritati.

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