sabato 18 aprile 2015

#province I "tagli" incostituzionali e le acrobazie del Sose

La manovra finanziaria sulle province disposta dalla legge 190/2014 ed attuata sulla base delle rilevazioni del Sose vìola apertamente la Costituzione oltre che i principi di riassetto della finanza pubblica in base ai fabbisogni standard.

Il Sose, incaricato dal Governo per rivedere la spesa delle province, a differenza di quanto affermato in varie sedi dal Governo stesso, non ha utilizzato il criterio dei fabbisogni standard per ripartire tra le province il contributo che nel 2015 debbono al bilancio dello Stato.

Sostanzialmente, il Sose è partito dalla fine: si è occupato di come “spalmare” il prelievo coatto (1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017) imposto alle province dalla legge 190/2014, basandosi su tagli lineari, come quello del 50% operato sull’intera funzione 1, quella da cui si trae la spesa per il funzionamento degli enti: dal personale alle bollette, dai rimborsi spesa degli amministratori ai canoni, dal patrimonio, dall’ufficio tecnico all’ufficio ragioneria delle entrate.

Infatti, il Sose ha “efficientato”, cioè stabilito di poter ridurre la spesa corrente delle province, fino a 685 milioni, non basandosi sui fabbisogni standard che per moltissime province avrebbe significato che lo Stato avrebbe dovuto trasferire loro più denaro (stando ai dati del sito opencivitas riferiti al 2010), ma attraverso un calcolo diverso: il confronto tra le entrate standard (stimate alla massima aliquota) e la spesa corrente delle cinque funzioni fondamentali (funzione generale di amministrazione, funzione ambiente, funzione territorio, funzione istruzione, funzione trasporti), applicando alla funzione generale di amministrazione (funzione 1) un taglio secco del 50% per le province e del 30% per le città metropolitane. I restanti 215 milioni del prelievo forzoso (gli altri 100 sono stati dedicati alle province delle regioni a statuto speciale) sono stati individuati in proporzione alla spesa di riferimento (spesa corrente media 2010-2012 - fondo sperimentale stimato al 2015 – trasferimenti per funzioni delegate 2013) aumentata o ridotta in base alla differenza tra spesa storica e i fabbisogni standard vigenti (escludendo da questi la funzione della polizia).

Nulla a che vedere, dunque, con il sistema di rilevazione delle risorse necessarie per la gestione dei servizi, di cui parla la legge 56/2014. L’articolo 1, comma 92, di tale disposizione, come noto, stabilisce che con Dpcm si sarebbero dovuti definite “i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista. In particolare, sono considerate le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo comunque quanto previsto dal comma 88. Sullo schema di decreto, per quanto attiene alle risorse umane, sono consultate le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dispone anche direttamente in ordine alle funzioni amministrative delle province in materie di competenza statale”.

Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del Dpcm 26.9.2014, attuativo del citato articolo 1, comma 92, della legge Delrio, le province avrebbero dovuto effettuare, in collaborazione con gli osservatori, la ricognizione delle risorse finanziarie necessarie per il riordino, tenendo conto:

a) dei dati desumibili dai rendiconti di bilancio provinciali dell'ultimo triennio;

  1. b) dei dati forniti dalle province relativamente alla quantificazione della spesa provinciale ascrivibile a ciascuna funzione o a gruppi omogenei di funzioni;

  2. c) della necessità che siano attribuite ai soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell'art. 119 della Costituzione, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali in relazione ai rapporti attivi e passivi oggetto della successione, compresi i rapporti di lavoro e le altre spese di gestione, compatibilmente con il quadro finanziario di riferimento”.


Come si nota, il Dpcm, mai formalmente abolito, prevede che il lavoro di province ed osservatori fosse riferito solo a determinare per ciascuna singola provincia i dati della spesa (e delle entrate), in modo da assicurare che agli enti destinatari delle funzioni provinciali fossero attribuite tutte le risorse spettanti alle province ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione, per consentire la copertura finanziaria di tali funzioni. Il comma 3 dell’articolo 3 del Dpcm chiarisce meglio: “Le risorse finanziarie trasferite non potranno, in ogni caso, superare l'ammontare di quelle utilizzate dalle Province per l'esercizio delle funzioni precedente al riordino, tenuto conto del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66”.

Il limite massimo all’importo dei trasferimenti avrebbe dovuto essere l’ammontare delle risorse finanziarie utilizzate dalle province prima del riordino.

Da nessuna parte è specificato che l’opera di trasferimento di funzioni e risorse potesse o dovesse avvenire attraverso un loro “taglio” prima ancora che il trasferimento fosse operativo. La riduzione della spesa delle province avrebbe dovuto essere conseguenza della sottrazione delle funzioni e, dunque, successiva al riordino.

La legge 190/2014 ha completamente modificato questo quadro. Mentre i lavori degli osservatori erano e sono ancora in corso, ha stabilito di imporre artificiosamente una riduzione della spesa delle province, attraverso il meccanismo del versamento forzoso al bilancio dello Stato, sulla base del presupposto indimostrato e stabilito a monte che le funzioni fondamentali potessero essere comunque svolte con le residue restanti alle province.

Sta di fatto che il Sose non ha per nulla correlato ai fabbisogni delle province i taglio, ma ha fornito, con la complicatissima nota metodologica per il riparto dei “tagli”, semplicemente un parametro matematico per giustificare la sottrazione della disponibilità delle risorse alle province.

Risulta, dunque, confermato che il Governo ed il Parlamento hanno imposto un “taglio” sostanzialmente lineare e forfettario, che nulla ha a che vedere con la revisione della spesa connessa con le funzioni.

In questo modo, la legge 190/2014 va in aperto contrasto con la Costituzione, per la semplice ragione che costituisce fonte della violazione del principio del pareggio di bilancio, costituzionalmente imposto.

Il prelievo forzoso e forfettariamente imposto alle province impedisce loro negli anni dal 2015 al 2017 di chiudere il bilancio in pareggio, per almeno due ragioni. La prima: il “taglio” non è commisurato ai fabbisogni e risulta all’evidenza eccessivo. La seconda: lo Stato chiede alle province di coprire le spese dello Stato, in plateale contraddizione con quanto dispone l’articolo 119 della Costituzione, a mente del quale le risorse finanziarie che per legge spettano agli enti locali debbono “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”.

La legge 190/2014 vìola questo principio almeno due volte. In primo luogo, perché applica un taglio sproporzionato. La seconda, perché pur limitando la possibilità per le province di erogare la spesa corrente necessaria alla gestione delle proprie funzioni, impone loro di svolgerle egualmente ai sensi dell’articolo 1, comma 89, della legge 56/2014 I ritardi abissali delle regioni nel riordinare le funzioni sono, di conseguenza, un’ulteriore fonte di danno finanziario, perché costringono le province a spendere risorse per funzioni che non dovrebbero più gestire.

E’ oggettivamente assurdo e paradossale che la legge 56/2014 imponga (giustamente) di trasferire dalle province agli enti di destinazione le risorse connesse alla gestione delle funzioni non fondamentale in modo da assicurare per le amministrazioni destinatarie l’articolo 119 della Costituzione (come abbiamo visto sopra all’articolo 3, comma 1, del Dpcm 26.9.2014), mentre la legge 190/2014 imponga alle province di gestire sia le funzioni fondamentali, sia quelle non fondamentali rimaste ancora in capo a loro, potendo contare, però, solo su risorse a malapena sufficienti per la sola gestione delle prime. E’ un procurato dissesto per legge.

Ma ci sono altri paradossi: la circolare 1/2015 ha ingenerato la convinzione che circa 10.500 dipendenti delle province, oltre la metà di quelli posti ex lege in sovrannumero, appartenenti ai servizi per il lavoro e alla polizia provinciale, non potranno transitare in mobilità presso altre amministrazioni, in quanto vi sarebbe per loro una “riserva” verso l’Agenzia per l’occupazione e un nuovo sistema di gestione delle forze dell’ordine. Le province, dunque, sarebbero costrette non si sa per quanto tempo, visto che l’Agenzia per l’occupazione se va bene la si vedrà nel 2017, mentre della riforma delle forze dell’ordine non si sa nulla, ad accollarsi il costo di circa la metà del personale soprannumerario, non potendo nemmeno trasferirlo. Insomma,, circa 450 milioni di euro resterebbero a carico delle province, impossibilitate anche ad attivare le misure necessarie per provare a ridurre la spesa corrente, almeno quella del personale.

Il che aggrava negli anni la situazione finanziaria, per quanto i risparmi solo finanziari sul costo del personale non sarebbero assolutamente sufficienti a compensare l’incidenza della manovra sulle province.

1 commento:

  1. […] e quanto scritto qui: https://rilievoaiaceblogliveri.wordpress.com/2015/04/18/province-i-tagli-incostituzionali-e-le-acrob…). Ricordiamo che il presidente della Sose, nel corso dell’inchiesta di Report, smentendo un po’ […]

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