domenica 16 novembre 2014

#Province: #tagli inesistenti. Partita di giro che aumenta le #tasse

Il mainstream dominante nella propaganda e nei media, troppo inclini a non approfondire ed accettare ogni velina acriticamente, afferma che nei confronti delle province vi sarebbe una manovra di "tagli" da 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017.
Naturalmente, parlare di "tagli" dà molto aplomb e lascia pensare che la riforma delle province sia effettivamente utile, almeno a risparmiare denari.
Dunque, occorre dare la sensazione che la spesa pubblica diminuisca, proprio per merito di una delle proposte più squisitamente populiste, che hanno consentito al Governo in carica di incassare l'ampio consenso ricevuto.
Peccato, tuttavia, che ciò non sia per nulla vero. La legge di stabilità 2015, infatti, produce "tagli" solo sul piano degli effetti della spesa corrente delle province, ma, in realtà non taglia assolutamente niente. Vediamo perchè.
Un taglio è tale, quando si elimina la spesa e l'entrata connessa che la finanzia. Per fare un esempio, se una spesa di 1000 è finanziata da un'entrata di 1000, si ha un taglio di 200 se la spesa si abbassa ad 800, così come l'entrata. E' un concetto piuttosto semplice da capire.
Andiamo, ora, al caso delle province. Cosa prevede la legge di stabilità 2015? Un "taglio" alla loro spesa, scaturito da una diminuzione dei finanziamenti che lo Stato attribuisce loro? No. Per la semplice ragione che da 2 anni ormai lo Stato non trasferisce più alcuna risorsa alle province.
Allora, cosa succede? Si riduce il gettito delle imposte provinciali? Nemmeno per sogno. Le entrate tributarie, patrimoniali e proprie delle province restano esattamente come sono, per un valore di circa 10,2 miliardi, con un surplus sulla spesa totale di circa 200 milioni.
Dunque? Perchè si parla di "taglio". La risposta è semplice e perversa. In realtà, la legge di stabilità non prevede alcuna diminuzione di spesa e di entrata per le province. Invece, le obbliga a versare al bilancio dello Stato importi per complessivi 1, 2 e 3 miliardi nel corso dei prossimi 3 anni.
Dunque, la legge di stabilità, a ben vedere, lungi dal creare un "taglio" alla spesa, semplicemente si limita a "riqualificarla", sicchè spese correnti che le province fin qui hanno destinato a servizi, dovranno, per oltre il 30% a regime, essere destinate al bilancio dello Stato.
Cosa significa tutto ciò? Due cose:
A) le province avranno una minore capacità di spesa per i propri servizi;
B) lo Stato"guadagna", prelevandole dalle entrate provinciali, in successione risorse per 1, 2 e 3 miliardi tra il 2015 e il 2017; risorse che, poi, lo Stato (e non più le province) decide si spendere come meglio crede.
Infatti, l'intervento sulle province non produce alcun effetto netto sulla spesa pubblica complessiva, la quale, come noto, per effetto della legge di stabilità e sulla base delle previsioni del Def non va affatto a diminuire, ma invece aumenta costantemente.
A questo punto, chiunque ha già capito: se la spesa delle province rimane quantitativamente la stessa, solo che una parte rilevante va a finanziare lo Stato, allora le entrate delle province resteranno invariate, sicchè non vi sarà alcun beneficio sulla pressione fiscale dei cittadini. Ecco, chi ha capito questo, ha capito perfettamente.
Di fatto, la manovra finanziaria sulle province altro non è se non una gigantesca partita di giro, che lascia la spesa pubblica complessivamente invariata, così come il livello della pressione fiscale, ma impone alle province a rinunciare a finanziare servizi per i cittadini.
Lo Stato si sentirà libero di utilizzare il prelievo forzoso di risorse che impone alle province per spenderlo come meglio riterrà. Di fatto, al sistema delle autonomie locali, verranno a mancare a regime 3 miliardi. La conseguenza è che le funzioni provinciali destinate a traslare verso regioni o comuni subiranno un sottofinanziamento a regime di 3 miliardi, che se non sarà compensato da trasferimenti dello Stato verso regioni o comuni, comporterà due inevitabili conseguenze:
A) la riduzione o chiusura dei servizi connessi alle funzioni trasferite a regioni e comuni;
B) l'aumento delle imposte locali di regioni e comuni.
Insomma, tutti quelli che hanno esultato per la manovra di riforma delle province dovrebbero ripensare molto approfonditamente a ciò che hanno chiesto ed appoggiato a gran voce, perchè hanno accettato esattamente un quadro in miniatura delle disfunzioni economiche dell'intero paese: l'incremento delle imposte congiunto alla diminuzione dei servizi, condito, in questo caso, anche da un caos organizzativo ed ordinamentale spaventoso. Un degrado amministrativo, giuridico, tecnico e finanziario che non si era mai visto.

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